A friend from far away asked me yesterday how it is going here. Yes, how is it going here, with the early spring in Bosna i Hercegovina?
It is going so that a people deeply wounded in its soul less than a month ago found a way to break out of a hypnotic, depressive, passive condition and started to remember itself.
It is going so that we are NOT going back into that darkness.
A slow, difficult way, but the wonderful, amazing thing is that this people IMMEDIATELY started to think out requests, organize assemblies from below, trying to get things done. Immediately. Coming from twenty years of darkness.
The media want blood. So they quickly got bored when they saw that after a couple of days of stones against windows and a little fire here and there no bloodshed was following. They found that in Ukraine.
Bosna i Hercegovina is not Ukraine.
No, we are trying to do much better.
What do my eyes see?
The little people. No big leaders or heroes. We are the little people. Crawling along, slaloming between tricks and traps from shrewd and merciless politicians and other mighty players. Stubbornly looking for a way out of this mire.
Yesterday evening I was in a meeting of some sixty or so people. Very different among them, women and men, the younger and the older, former combatants and schoolteachers, doctors, journalists, students… There was some stress, sure, but above all there was a strong, true desire to come to common decisions and get things done.
I love this bloody place.
I chose it as my home more than ten years ago, never regretted it. Not even in the darkest moments.
What my eyes see now is what my eyes have seen all these years, through the darkness, through the fog.
Let the spring come.
Oggi scade l’ultimatum dato dieci giorni fa dalla “Primavera bosniaca” al parlamento del Cantone Una Sana, la sera della drammatica riunione domenical-straordinaria del 9 febbraio, alla fine della quale un recalcitrante premier Lipovaća alla fine aveva dovuto dare le dimissioni.
Oggi in teoria il parlamento dovrebbe nominare un successore, ma siam nel buio piu’ profondo.
[…]
Oggi scade l’ultimatum dato dieci giorni fa dalla “Primavera bosniaca” al parlamento del Cantone Una Sana, la sera della drammatica riunione domenical-straordinaria del 9 febbraio, alla fine della quale un recalcitrante premier Lipovaća alla fine aveva dovuto dare le dimissioni.
Oggi in teoria il parlamento dovrebbe nominare un successore, ma siam nel buio piu’ profondo.
Alle dieci era convocato il “kolegiji”, la commissione organizzativa del parlamento. La “Primavera” invece vuole una seduta vera e propria e che i parlamentari la smettano di menare il can per l’aia, non solo sulla nomina di un premier e di un governo non partitici e competenti, ma anche sugli altri dodici punti emersi dalla protesta.
Ieri hanno anche proposto che si costituisca una commissione di raccordo fra parlamento cantonale e cittadini. Una proposta “pesante”, ovvero molto ambiziosa, concepita con un solido supporto tecnico – giuridico e richiami alla costituzione cantonale (c’e’ un avvocato in squadra), e molto ambiziosa: si chiede che cinque dei sette membri della commissione, compreso il presidente, siano espressi dai cittadini, e che la cosa sia istituzionalizzata nella gazzetta ufficiale.
La barchetta del movimento naviga sui cavalloni di una situazione che definire agitata e’ dir poco. Gia’ pronte le proteste di piazza per domani nel caso (piu’ che probabile) che la giornata parlamentare di oggi sia inconcludente.
Mentre nella capitale cantonale regna la suspense su questa faccenda, a Cazin, l’altra citta’ caposaldo della Krajina, parte oggi pomeriggio il plenum dei cittadini.
Ovvio che ci vado.
Sjedim pored nije, moja ljubav. Slušam kako pjeva, gledam bjele konje od pjene kako se utrkivaju i svjetlucaju pod suncem. Ko god je izbrao muziku u lokalu jutros je genije. Otvorila mi srce. Moje srce ranjeno i slomljeno milion puta, sve pokriveno u ozljedama, moje srce koje me ovih dana prestrašilo, hoće li […]
Sjedim pored nije, moja ljubav. Slušam kako pjeva, gledam bjele konje od pjene kako se utrkivaju i svjetlucaju pod suncem. Ko god je izbrao muziku u lokalu jutros je genije. Otvorila mi srce. Moje srce ranjeno i slomljeno milion puta, sve pokriveno u ozljedama, moje srce koje me ovih dana prestrašilo, hoće li valjda zakazati, prerano…. prerano… A uporno se svaki put sabere, opet, i krenemo dalje.
Volim ovu ludu zemlju. Svaki dan se sječam u nekom trenutku, često više puta, da kažem GRAZIE, gracias a la vida, Boginiji, svim anđelima, duhovima, devama, četri elemenatima, majstorima, kome god, što sam živa i što sam ovdje.
Život teće u žilama ove ranjene zemlje, zemlje koja ima dušu veliku. Zemlja koja zna biti i otrovna , izluđuje te, ali ipak ti krade srce.
Narod koji duge godine nije vjerovao u sebi. Koliko godina koliko njih me gledao začuđeno, što sam toliko tvrdoglava u nekim mojim tvrdnjama. Više sam vjerovala ja u ovaj narod nego on sam. I koštalo mi je to užasno puno, morala sam past na koljena… ma kakve na koljena… dole licem u govna, i od toga puno jesti, ali sam preživjela.
I nagrada mi je da sam sad ovdje, da živim ovim danima. Zaslužila sam to.
Da osječam ponos, a i dalje ta ljubav koja se nikad nikad nikad nije ugasila. Niti u najmračnim trenucima.
Ništa nije rješeno, sve je nejzvjesno i opasno, ko zna gdje će nas sudbina još odvesti. Ali tu smo. Tu sam.
Nikuda ne idem ja odavjde. Ovo je moj dom. I moja sudbina.
Mi piace sedere a lavorare in riva alla Una. Aiuta a tenere sotto controllo lo stress quasi insopportabile. Cosi’ torno per una seconda session pomeridiana ed adocchio subito un volto noto della tv: Al Jazeera e’ qua. Facile anche cogliere l’argomento della conversazione: le privatizzazioni truffaldine che hanno spezzato le reni alla Bosnia, riducendola ad […]
Mi piace sedere a lavorare in riva alla Una. Aiuta a tenere sotto controllo lo stress quasi insopportabile. Cosi’ torno per una seconda session pomeridiana ed adocchio subito un volto noto della tv: Al Jazeera e’ qua. Facile anche cogliere l’argomento della conversazione: le privatizzazioni truffaldine che hanno spezzato le reni alla Bosnia, riducendola ad un ghetto con piu’ di 550.000 disoccupati su 3.800.000 abitanti. A Bihać, piccola cittadina con un centro urbano di circa 50.000 abitanti e altri 10.000 nel contado, mancano all’appello 10.000 posti di lavoro. Di questo sta parlando il team giornalistico con un paio di informatori locali, a due metri da me. Pochi minuti dopo, ecco arrivare il team dei giovani rivoluzionari, reduci da un incontro al parlamento cantonale che ho appena finito di guardare in video – l’associazione dei giovani ABC che da poco piu’ di un anno fa un’ottima web tv, segue a passo veloce l’evolversi della situazione.
Riconosco uno degli oratori di ieri: uno dei giovani lavoratori di una delle fabbriche locali, una delle poche sopravvissute. Finite comunque in mano di qualcuno che da mesi non sta pagando i lavoratori. E il primo sciopero si e’ visto pochi giorni fa, evidentemente incoraggiato dalla rivolta.
Paura.
Paura.
Paura.
In questo paese regna la paura.
Non interessa all’ “europa” (la minuscola e’ intenzionale). Poco fa e’ sbarcato all’areoporto di Sarajevo il commissario EU all’allargamento, Štefan Füle: un trafiletto di poco fa battuto da tutte le agenzie cita una “fonte anonima” secondo la quale Füle e’ qua per parlare con i leader dei partiti, e della “sentenza Sejdić – Finci” (* un rappresentante Rom ed uno ebraico che hanno citato in giudizio la Bosnia alla Corte europea per i diritti umani per il fatto che il meccanismo di ripartizione etnica non da’ spazio a nessuno che non sia Croato, Serbo o Bosgnacco di essere eletto alla presidenza dello stato; Sejdić e Finci hanno vinto ma da anni si trascina la questione di come riformare la “costituzione di Dayton” per eliminare la discriminazione etnica).
Lasciamo l’europa al suo conciliabolo con i leader screditati che la gente vuol cacciare da tutti i palazzi.
Qui stanno cercando di vedere come fare il reportage sui lavoratori calpestati proteggendoli al tempo stesso. Il giovane che ha parlato ieri si e’ esposto in piazza con nome e cognome, ma dietro a lui ce ne sono tanti che hanno paura. “Le pressioni sono fortissime”, ha detto un minuto fa.
Ne so qualcosa anch’io.
Sulla mia pelle.
**** prossimamente su questi schermi ****
- Conversation started today
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Buongiorno Ennio, qual buon vento?
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Ciao, l’aqltro giorno hos bagliato Paola Lucchesi e tempo di aver chieasto l’amicizia a una sconosciuta.
Ti ho letto. POoso citarti nel ,mio blog RemoContro?
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Si’, Ma ora mi devo leggere quel tuo articolo sulle violenza nazionaliste…. ???? Ti confesso che mi e’ salito il sangue alla testa solo a vedere il titolo!
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Cosa ho cvombinato? Non ricordo.
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Ho visto solo il titolo, per questo dico che ora voglio leggermi anche il testo.
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Ho trovarto altri prevenuti. Solo suol titolo!
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Beh….
… sappiamo cosa sono i titoli, no?
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Non potevo titolare, finalmente in Bisnia di incazzato senza distinzione etnioca
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NON POTEVI?
perche’?
perche’ non fa cassetta?
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Non ci stava nella metrica.
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Aveva ragione Achille.
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E poi ho già riconosciuto l0equivico
ma il titolo era formalmente corretto.
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no,
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Rivolkte non etnica ma di “classwe”?
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adesso mi rendo antipatica
Rabbia interetnica nella Bosnia tradita dai politici dell’odio
ti meriteresti un pugno sul naso
ma cosa ti e’ saltato in testa?
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Traduci evedi che dico il vero.
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RABBIA INTERETNICA?
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Ra bbia non bosniacca, croata o musuilmano,
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adesso fammi leggere il testo
il titolo e’ vergognoso
te lo dico senza peli sulla lingua
disinformazione al cubo
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Sei esagerate e iìnon lkeggermente uintegraliusta ma va bene così-
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No, questo si chiama lešinarstvo
lo sai cosa vuol dire?
Comunque, leggendo rapidamente il testo: classico, titolo che non c’entra nulla ma serve a catturare l’attenzione.
Se devi fare altre operazioni del genre, NON citarmi.
Qua e’ tragico il problema della RS e della paranoia interetnica, non e’ una cosa con cui scherzare per farsi leggere un articolo.
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Non ti ricordavo così categorica e di possessori di verità assolute nei balcanii ne ricordo già troppi.
Auguti e buon lavoro, cio.
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Sto parlando con uno di loro
Leggi cosa ha detto Jasmila Žbanić….
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Sui Balcani ho soltanto dubbi, giuro
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Io ci vivo.
La mia testa e’ in gioco come quelle di tutti noi.
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Per questo che ho tollerato certi toni. In bocca al lupo.
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Hai “tollerato”….
eh, ma znaš šta….
MARŠ KUĆI I TI!
iz srca
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Dcianìmo che non ho reagito d’istinto alle tue parolew, ve meglio detta così? Sono stato ammodino, se vuioi. Non ho reagito veementemente come l’istinto avrebbe suggerito. Va ben4e così. Forse non valuti la p4santezza di certe tue affermazioni.
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Certo, qua abbiamo bisogno della civilta’ che venga a salvarci, lo so.
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E se mi insilyti in limngua non posso difendermi
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Sto citando Jasmila Žbanić, non ti ho insultato. Ti ho solo detto vattene a casa.
Come l’ha detto lei a Milanović e Davutoglu
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Io già ci sono a casa. Quando negòli anni dell0’aszxedio e in quelli siccessivi ho vissuto qurlle terre ho solo cercato di cetire, di nazzare ciù che vedevo e ciò che appariva oltre. Con quelche spunto di coraggio personale. Punto e basta. Mai preteso di insegnare4. Io ho solo impoarato nei Balcani. Ciao
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Io ci vivo. E continuero’ a viverci. As simple as that.
Metti una domenica di sole a Bihać.
Primavera precoce, sembra quasi un simbolo vivente: normalmente qui a febbraio dovremmo stare nella neve fino al collo, e’ il momento piu’ freddo dell’anno. Due anni fa in questo periodo siamo arrivati a meno 25…. Invece ieri eravamo quasi a PIU’ venticinque. “Probeharilo”, come si dice qua: gli […]
Metti una domenica di sole a Bihać.
Primavera precoce, sembra quasi un simbolo vivente: normalmente qui a febbraio dovremmo stare nella neve fino al collo, e’ il momento piu’ freddo dell’anno. Due anni fa in questo periodo siamo arrivati a meno 25…. Invece ieri eravamo quasi a PIU’ venticinque. “Probeharilo”, come si dice qua: gli alberi hanno iniziato a fiorire.
A mezzogiorno, inizia l’evento annunciato meno di 48 ore prima, non un plenum come nelle altre citta’, ma una “tribuna pubblica”: due minuti a testa nei quali ognuno puo’ dire quello che ha sullo stomaco.
Molti occhi puntati da dietro le retrovie per registrare quanta gente si e’ fatta vedere e come si c0mporta.
Quanta? Siamo sinceri: poca. Qualche centinaio.
Perche’?
Paura.
Non si spazzano via vent’anni di buio in una settimana.
Non ci sono notizie ufficiali in questo senso, ma girano molto le voci sull’operativita’ della polizia in questi giorni: che siano solo interrogatori o arresti, comunque si dice siano piu’ di un centinaio. Soprattutto di confronti dei giovani e giovanissimi che hanno fatto v0lare sassi nei giorni passati, contro la sede del governo cantonale, la casa del premier, e le vetrine dell’hotel di suo cugino. Piu’ due auto bruciate nel parcheggio sotto la sede governativa ed altre piacevolezze.
Ma non e’ neanche una questione di paura di una repressione poliziesca, i fili dell’inquietudine sono piu’ sottili, ma molto profondi. La gente ha paura di “compromettersi”: ha imparato a tener giu’ la testa e star buona.
Per questo in piazza son pochini e parlano ancora meno, e il tutto dura appena un’ora e mezza. Pensionati, studenti, operai non pagati da mesi, giovani laureati che non voglion piu’ sentirsi chiedere “koja je veza” – “chi ti raccomanda” – quando si recano ad un colloquio di lavoro. Una mezza bagarre quand0 al microfono si presenta uno dei presidenti delle associazioni di ex combattenti che viene azzittito ad urla e fischi. Punto doloroso, questo, perche’ la questione di chi gestisca queste associazioni e che benefici ne tragga, a fronte di migliaia e migliaia di veterani la stragrande maggioranza dei quali fa la fame, e’ una questione che spacca la societa’.
Comunque, e’ un primo passo di una lunga marcia. C’e’ una lista di richieste emersa dalla protesta, ed e’ stata presentata al parlamento cantonale gia’ domenica 9 febbraio, con l’ultimatum di dieci giorni che scade dopodomani. E ieri e’ stata per la prima volta fatta girare una petizione che riprende quei punti, per iniziare a rafforzare la legittimita’ del movimento, contro le accuse piovute da tutte le parti che sia portato avanti solo da un pugnetto di persone. Contro le quali ovviamente si scagliano anche accuse virulente di essere solo paravento di una delle lobby politiche in lotta nel Cantone Una Sana gia’ da ben prima della protesta. Non facilita le cose il fatto che il premier Lipovaća era gia’ stato sfiduciato tre mesi prima dal parlamento cantonale, riuscendo a rimanere in “mandato tecnico” (posizione nella quale si trova tutt’ora, nonostante le dimissioni, finche’ non sia nominato un successore) solo appellandosi al meccanismo del veto etnico. Ora il gruppo di “Primavera bosniaca” e’ bersaglio di accuse di aver solo offerto copertura al partito SDA contro il premier, esponente di spicco della SDP.
La zampata infatti e’ arrivata poco dopo la conclusione della manifestazione in piazza: un comunicato proprio della SDP ha provocatoriamente ributtato la palla nel campo dei ribelli, affermando di nominare a futuro premier la professoressa Šeherzada Delić, che nella serata di domenica 9 febbraio aveva tenuto un discorso di fuoco al parlamento contro il premier e tutta la classe politica, ed a ministro dell’istruzione il volto giovane della “Primavera” a Bihać, Aida Sejdić, insegnante precaria di chimica catapultata a leader della protesta in pochi giorni.
La mossa e’ perfida. Il Cantone Una Sana e’ praticamente in bancarotta, come del resto tutta la Bosnia Erzegovina. Quasi impossibile trovare chi si prenda la patata bollente di gestire una situazione totalmente disastrata, a pochi mesi dalle elezioni: sarebbero otto, se si rispettasse il termine naturale (le ultime elezioni generali si sono tenute nell’ottobre 2010), ma sara’ anche peggio se passera’ l’iniziativa di elezioni anticipate lanciata dalla SDP a livello federale, che sta raccogliendo consensi anche dalla SDA e perfino dal presidente della RS Dodik (che pero’ ha lanciato l’assurda idea di una consultazione “temporanea”, da ripetere poi ad ottobre).
Ho passato ieri un’oretta con Aida ed il gruppo di giovani che sta cercando di portare avanti l’iniziativa in questi giorni: e’ un movimento dei trentenni, quello che a rotta di collo e’ venuto fuori in questi giorni. Molto entusiasmo, pericoli ed ostacoli da tutte le parti, molte, forse troppe, incognite. Intorno a loro si agitano personaggi di tutti i tipi. E sono in corso manovre e contromanovre.
Il piu’ grosso punto di domanda pero’ e’ cosa pensi e cosa senta la grande massa del popolo che ancora non si e’ mossa.
Tante cose ancora non sono accadute ma stanno per accadere, e in quale direzione si muoveranno in questo momento e’ una roulette russa.
Ovvero: quando il gioco si fa pesante.
Dragan Lukać non e’ uno qualunque: “primo poliziotto” della polizia federale, ed ex direttore della SIPA, la polizia speciale (servizi segreti, piu’ o meno). Che sia comparso al Centralni Dnevnik, seguitissima trasmissione tv condotta da un anchor man famoso come Senad Hadžifejzović, a dire […]
Ovvero: quando il gioco si fa pesante.
Dragan Lukać non e’ uno qualunque: “primo poliziotto” della polizia federale, ed ex direttore della SIPA, la polizia speciale (servizi segreti, piu’ o meno). Che sia comparso al Centralni Dnevnik, seguitissima trasmissione tv condotta da un anchor man famoso come Senad Hadžifejzović, a dire che quel che e’ accaduto nelle strade delle citta’ bosniache nei giorni passati e’ stato un tentativo di colpo di stato, e’ una discreta bomba in una scena gia’ lacerata da milioni di intrighi contemporanei.
La Bosnia oggi e’ un Rashomon: non c’e’ UNA verita’. Se non quella che l’esasperazione della gente e’ reale e le sue cause ancora piu’ reali.
Chi pesca nel torbido, al di la’ di questo? Tutti.
L’esplosione di rabbia popolare e’ avvenuta nel mezzo di un groviglio di scontri politici e intrighi in corso da anni ed anni. Piombandoci in mezzo come fattore di rottura, in quanto sganciata (QUASI del tutto…) dalle manovre delle varie lobbies in lotta.
Qual e’ il paese del mondo che piu’ assomiglia alla Bosnia, per instabilita’ politica e giravolte dei partiti che sempre piu’ sfacciatamente contraggono matrimoni d’interesse, divorziano e si risposano con l’unica motivazione di spartirsi zone di potere?
Si’, avete capito bene: l’Italia.
Immaginate l’Italia di ora con uno scenario economico e sociale ancora piu’ disastrato di quello attuale, al punto che l’esasperazione della gente esploda tutto ad un tratto, ma con “la casta” che dopo un momento di shock ricomincia le sue manovre, ed avrete un’idea approssimativa ma realistica di cos’e’ in questo preciso momento la Bosnia Erzegovina.
Tornando al punto: e’ stato un tentativo di colpo di stato si’ o no?
Due elementi:
A) E’ molto possibile.
B) Ne’ il “primo poliziotto” ne’ l’anchor man sono super partes. Per chi conosce la scena di qua, e’ abbastanza evidente il senso di questa lunga intervista (piu’ di un’ora, un tempo infinito per la televisione).
No, non ho intenzione di dirvi tutto.
Non ora.
La situazione E’ pericolosa. Molto. E io sono gia’ sotto tiro da tempo, per altre ragioni. Sono molto esposta.
E sto per espormi ancora di piu’. Per altre questioni.
Posso dirvi solo questo per ora: teneteci d’occhio, perche’ questa storia e’ appena cominciata.
Dieci giorni fa qua si son fiondati sia il primo ministro della Croazia, sia il ministro degli esteri della Turchia.
(si son beccati un “mrš kući!” – fuori dai piedi, tornatevene a casa – dalla regista di “Grbavica”, Jasmila Žbanić)
Belgrado non ha avuto bisogno di venire perche’ e’ stato Milorad Dodik, il presidente della Republika Srpska, a correr la’.
L’EU… con calma… Il commissario all’allargamento Štefan Füle arriva appena oggi. A dire ai politici bosniaci che devono fare i bravi, essere seri e responsabili, smetterla di litigare ed occuparsi del benessere dei loro cittadini.
Baš…
A Sarajevo la gente continua a scendere in piazza ogni giorno, proteste pacifiche proseguono quotidianamente in varie citta’ della Bosnia, mentre i plenum, le assemblee aperte dei cittadini, muovono i primi passi. In parallelo si muove il regno delle ombre: intrighi sia dietro le quinte sia sul palcoscenico dei media iperpoliticizzati e ipermanipolati, […]
A Sarajevo la gente continua a scendere in piazza ogni giorno, proteste pacifiche proseguono quotidianamente in varie citta’ della Bosnia, mentre i plenum, le assemblee aperte dei cittadini, muovono i primi passi. In parallelo si muove il regno delle ombre: intrighi sia dietro le quinte sia sul palcoscenico dei media iperpoliticizzati e ipermanipolati, polemiche e accuse reciproche, lotte al coltello fra i partiti. Le lotte di potere a tutti i livelli e i veleni sono una costante della vita di questo paese, ed uno dei fattori determinanti dell’atmosfera di continua isteria e pressione che alla fine ha fatto saltare i nervi alla gente. Ma neanche la “rivoluzione” di questi giorni ha fatto perdere il vizio ai vari lupi e lupetti che anzi, dopo un momento di shock, stanno usando la situazione per alimentare le loro manovre. Dopotutto, e’ pure sempre un anno elettorale.
***
Pugilato fra i big della politica
E’ guerra aperta ormai fra il Berlusconi bosniaco, Fahrudin Radončić ministro degli interni, accusato da piu’ parti di aver segretamente fomentato e finanziato le rivolte nelle strade, e i due maggiori partiti della Federazione, la SDP (partito socialdemocratico, cui appartengono il premier del governo federale, Nermin Nikšić, e il ministro degli esteri dello stato, Zlatko Lagumdžija, presidente del partito) e la SDA (Partito di Azione Democratica del defunto primo presidente della Bosnia, Alija Izetbegović, il cui figlio Bakir oggi e’ il rappresentante bognacco nella presidenza tri-etnica, formale capo di stato del paese). Radončić, editore del primo quotidiano del paese (Dnevni Avaz) e fondatore del partito SBB (Alleanza per un futuro migliore), sta apertamente cavalcando la tigre della protesta popolare spendendo fiumi di retorica a favore del popolo calpestato, pur essendo non solo uno degli uomini piu’ ricchi della Bosnia ma anche messo in questione per il modo in cui ha costruito le sue fortune. Mossa spericolata la sua di cercare di porsi come tribuno popolare – in linea peraltro con il suo personaggio di self made man, prima come imprenditore e poi come politico – data la sua posizione di “primo poliziotto” dello stato. Fioccano accuse da varie fonti su presunte regie oscure da parte sua e finanziamenti ai gruppi piu’ violenti di manifestanti. Le ipotesi piu’ estreme parlano di tentativi di colpo di stato e influenze estere dietro allo stesso Radončić.
Quel che e’ certo e’ che i suoi avversari politici sono accorti del pericolo ed ora freneticamente cercano di cacciarlo: la SDA ha annunciato che avviera’ un’iniziativa parlamentare per far dimettere Radončić, che come ministro degli interni non avrebbe fatto il suo dovere per garantire la sicurezza del paese. Una lettera aperta con invito a dimettersi era gia’ stata inviata dal premier federale Nikšić, e sostenuta dal ministro degli esteri Lagumdžija. Come si sta impostando la partita e’ evidente anche sulla faccenda delle elezioni anticipate: iniziativa lanciata in fretta e furia dalla SDP, con il popolo in rivolta sotto le finestre che torna ogni giorno a bloccare il centro a Sarajevo chiedendo le dimissioni del governo della Federazione. Ora anche la SDA si dichiara a favore di elezioni anticipate. Ovvio il tentativo di disinnescare la mina vagante di un movimento popolare nascente: sia la SDP che la SDA hanno una struttura partitica nazionale e capillare ben radicata, e gestiscono clientele e pacchetti di voti, tramite il loro controllo su amministrazioni ed aziende pubbliche con le quali concedere prebende e posti di lavoro.
Se si va a votare in fretta e furia fra due mesi, SDA e SDP sperano di trattenere la maggior parte delle rispettive basi elettorali prima che si faccian sedurre dal fascino della democrazia diretta, e che i plenum popolari possano organizzarsi elettoralmente. Il partito di Radončić, la SBB, ha appena quattro stagioni di vita: quando lo presento’ fu proprio lui a citare Berlusconi come modello. La SBB non ha sfondato, ma si e’ affermata abbastanza da avere suoi rappresentanti in tutti gli organi elettivi della Federazione e pesare nelle alleanze; difficile pero’ che cresca tanto nei prossimi otto mesi da prendere il potere… a meno di circostanze eccezionali! Radončić e’ un personaggio particolare, giudicato spregiudicato per il modo in cui in anni passati ha usato proprio la SDA come appoggio per una fulminante carriera imprenditoriale (la torre a tirabuscio’, grattacielo futurista nuova sede del suo quotidiano che domina il panorama di Sarajevo, e’ il simbolo del suo potere e successo, finanziata abbondantemente da crediti pubblici), per poi buttarla a mare e scendere in campo con un partito tutto suo. Con la SDP poi e’ una storia odio – amore (ovvero matrimonio d’interesse dopo anni di rivalita’ e insulti reciproci, un’alleanza durata pochi mesi che pero’ gli e’ valsa un ministero cruciale ai massimi livelli dello stato) – odio: ri-ufficializzato proprio in questi giorni convulsi.
Il Berlusconi bosniaco le elezioni anticipate non le vuole. Ha accusato fuori dei denti gli altri di essere dei truffatori, che alle elezioni frodano il popolo con brogli elettorali. Evidentemente punta a guadagnar terreno agli occhi degli elettori continuando a spendere retorica infuocata a favore del povero popolo martoriato e vittima di ingiustizie, come sta facendo in tutti questi giorni. Cosa che fa un po’ impressione venendo da uno degli uomini piu’ ricchi della Bosnia, che da un paio di stagioni e’ pure ministro dello stato. Forse pero’ non e’ solo su un maggiore bottino di voti che fa conto Radončić. Con l’avvertenza che nei Balcani la passione per le teorie della congiura supera anche quella per il calcio, ci si puo’ in questi giorni dilettare a disegnare scenari. E chiederci se ci sia dietro anche qualcuno al di fuori dei confini della piccola Bosnia.
Un paese diviso
Apriamo la solita parentesi necessaria per spiegare come e perche’ un paese che non arriva a quattro milioni di anime (secondo l’ultimo censimeno appena concluso) abbia quattordici governi. Come sia possibile che ci stiano dentro due cosiddette “entita’ ” , di cui una e’ denominata federazione (divisa a sua volta in dieci cantoni, per cercare di far contenti anche i Croati senza pero’ dare loro una terza “entita’ “) e l’altra repubblica. Con l’appendice di un distretto indipendente che durante la guerra era un “corridoio” fra i territori est ed ovest della Republika Srpska, e dopo si e’ dovuto lasciare a parte perche’ ovviamente non era possibile metter d’accordo gli altri due su chi se lo dovesse tenere. Vi gira gia’ la testa? Normale. Diceva Ivo Andrić: “Dove finisce la logica, incomincia la Bosnia”.
In questo caso pero’ non e’ neanche colpa della Bosnia, sono solo le conseguenze di una guerra non finita. Congelate a Dayton, Stati Uniti, nel 1995, dagli accordi di pace. Il grande sponsor del sistema di Dayton all’epoca fu il diplomatico americano Richard Holbrook. In pratica, gli accordi di Dayton santificarono la divisione etnica della Bosnia, legittimando istituzionalmente la Republika Srpska. Una ferita impossibile da rimarginare che ha avvelenato la vita del disgraziato paese in tutti questi anni. Da un paio di stagioni chi ha occhi per vedere sa che gli americani ormai han capito di aver sbagliato tutto, con Dayton. Hanno creato un Frankenstein che neanche loro riescono a controllare. Sara’ forse teoria della congiura, ma che alcuni possibili risultati del terremoto sociale di questi giorni vadano in direzione dei desideri a stelle e strisce e’ un dato di fatto. Ad una riforma della Federazione BiH gli Stati Uniti puntano pubblicamente ed apertamente: gia’ nel 2013 hanno ingaggiato un gruppo di esperti giuristi e costituzionalisti che hanno prodotto un corposo studio con proposte di riforma, quasi duecento pagine. C’era un’idea di fondo di “coinvolgere la societa’ civile”, perche’ a far pressione sui partiti Washington ci sta provando ormai da otto anni ma non ne viene a capo. Tanto che ha cominciato ad investire pesantemente nella “lotta alla corruzione”, perche’ perfino gli USA si sono resi conto che una classe dirigente tutta concentrata sull’approfittare al massimo delle sue posizioni di potere per saccheggiare i beni pubblici non e’ interessata alle questioni geostrategiche mondiali.
Il fatto e’ che i politici bosniaci non ascoltano nessuno. Neanche l’aquila americana. Non e’ quindi cosi’ assurdo pensare che l’idea di usare la forza di impatto della rabbia popolare a qualche stratega sia venuta. E’ un gioco estremamente pericoloso, ma anche i cittadini piu’ pacifici che non approvano sassate e molotov di questi giorni sconsolatamente ammettono che senza questa deriva violenta la classe dirigente non avrebbe battuto ciglio.
La Federazione e’ insostenibile come struttura e come costi. Un governo federale e dieci cantonali si mangiano una quota folle dei bilanci pubblici (chi dice settanta per cento, ma forse anche piu’), e creano microfeudi per una galassia di politici, oltre ad un armata di dipendenti pubblici che tipicamente accedono all’agognato stipendio garantito grazie alla connessione col potente di turno. Se in questi giorni la folla inferocita ha lanciato di tutto – dalle uova alle molotov – contro i palazzi dei governi cantonali una ragione c’e’: lo sfogo contro il simbolo stesso del privilegio.
Finora pero’ sono caduti premier e governi espressi proprio da SDP e SDA, e questo rinfocola la campagna di veleni e le teorie della congiura. Il potere assediato sta rapidamente predisponendo le sue contromosse. Oltre alle elezioni anticipate (da vedere se la cosa passera’), la SDA sta spingendo una mossa molto pericolosa: mettere in gioco le associazioni di ex combattenti. E non solo la SDA: la sera di domenica 9 febbraio, il premier del Cantone Una Sana (SDP) e’ comparso al parlamento cantonale riunito in seduta straordinaria in compagnia di uno dei piu’ noti comandanti di guerra. Che peraltro il giorno dopo e’ ricomparso a fianco del sindaco di Bihać (SDA), con un gruppo di presidenti di associazioni d’arma: si sono schierati pubblicamente a difesa delle istituzioni contro futuri possibili gesti violenti di “hooligan” vari. A livello locale, un messaggio chiarissimo. Un’uscita simile e’ stata fatta a livello federale da un’altra associazione di ex combattenti.
Anche su questo fronte, atmosfera torrida: e polemica “all out” sulla politicizzazione di queste associazioni, i finanziamenti che ricevono, ma soprattutto la questione dolorosa sui pochi carrieristi che ne traggono vantaggio e le masse di ex combattenti che fanno la fame. Molti dei quali stanno in strada in questi giorni a protestare.
Il genio fuori dalla lampada
In questo caos una cosa sembra ormai certa: indietro comunque non si torna.
Al di la’ di manipolazioni, “spin” mediatico (“spinovanje” ormai e’ una delle parole piu’ usate ed abusate), lotte di potere, diffidenza, polemiche ed isterie, che vada a finire bene o male, il punto di non ritorno e’ stato superato.
La rabbia e disperazione della gente sono reali.
Come reale e’ la situazione catastrofica in cui si trova il paese.
La condizione quasi di stupore ipnotico in cui il popolo stava affondando da anni e’ stata scossa dalla settimana di fuoco e di passione iniziata a Tuzla il 5 febbraio.
Un drammatico punto di domanda resta sospeso sulla Republika Srpska, che sta in condizioni non meno drammatiche, nonostante tutti i tentativi del presidente Milorad Dodik e della premier Željka Cvjanović di dipingere l’entita’ a maggioranza serba come “una societa’ matura, democratica, ordinata”. La gente nella RS semplicemente ha paura, ancora piu’ di quella della Federazione. Paura sia della repressione interna (il controllo politico e poliziesco e’ molto piu’ compatto che non nella federazione), sia dell’eterno spauracchio del nemico etnico. Quanta presa possa ancora avere questo secondo elemento resta da vedere: certo e’ pericoloso che come sempre il potere lo stia agitando, per cercar una volta in piu’ di distrarre un popolo affamato dalla reale radice dei suoi problemi.
Negli ultimi due giorni e’ spuntato il controllo alle “frontiere” interne fra Federazione e Republika Srpska: dal lato RS, punti di controllo, perquisizione di viaggiatori, e guardie con fucili a lunga canna.
L’Europa? Piu’ o meno tace, come sempre.
Dal fondo della disperazione piu’ nera, da una societa’ completamente paralizzata ed affondata in una palude di disastro economico, disoccupazione, miseria, corruzione, nepotismo, spunta dopo una settimana di passione e rivolte di strada (l’intifada bosniaca a sassate e molotov contro i palazzi del potere, prima nelle citta’ principali e poi in decine di centri minori), […]
Dal fondo della disperazione piu’ nera, da una societa’ completamente paralizzata ed affondata in una palude di disastro economico, disoccupazione, miseria, corruzione, nepotismo, spunta dopo una settimana di passione e rivolte di strada (l’intifada bosniaca a sassate e molotov contro i palazzi del potere, prima nelle citta’ principali e poi in decine di centri minori), il fenomeno dei plenum dei cittadini: assemblee aperte a tutti, nelle quali elaborare soluzioni ai problemi che tormentano la gente e che l’hanno fatta scendere in strada. Dal fallimento piu’ totale e disastroso della democrazia rappresentativa – i partiti trasformati in bande che lottano per spartirsi il bottino ed hanno completamente perso il contatto con la gente comune – tramite l’esplosione di rabbia nelle vie, alla democrazia diretta. Un salto di cinquant’anni in una settimana: che speranze ha?
Comunque sia, un movimento nato come ribellione spontanea in una grande onda emotiva, e’ riuscito nel giro di un paio di giorni ad emergere con una serie di richieste – legate soprattuto ai temi del lavoro, della giustizia sociale, dell’eliminazione dei privilegi dei politici – ed a porsi come interlocutore dei parlamenti nei cantoni dove governi e premier sono stati costretti alle dimissioni: i cittadini hanno dato ultimatum a dieci giorni ai parlamentari per la nomina di governi che saranno composti da rappresentanti scelti dai cittadini stessi, personaggi tecnicamente competenti e assolutamente apartitici. I politici hanno dovuto riconoscere il ruolo dei cittadini ed accettarli come interlocutori e co-gestori di scelte e decisioni. Comunque vada a finire, dopo anni di abbruttimento totale della societa’ bosniaca, e’ un incredibile segno di vitalita’.
A Tuzla, primo focolaio della protesta iniziata il 5 febbraio, il plenum e’ in funzione da un paio di giorni e si riunisce quotidianamente alle sei di sera. Universita’ e Comune hanno messo a disposizione spazi per le necessita’ del movimento dei cittadini. Il governo del cantone di Tuzla si e’ dimesso, come quello del cantone di Zenica: ora ai parlamenti tocca la responsabilita’ di preparare, nei prossimi dieci giorni, la proposta di un nuovo esecutivo che la gente pretende sia scelto da loro e rigorosamente al di fuori da qualsiasi appartenenza ai partiti che da anni strangolano il paese. Anche a Zenica si sta costituendo il plenum dei cittadini, a Sarajevo si riunira’ oggi per la prima volta. A Sarajevo e a Bihać altri due premier cantonali inferociti e recalcitranti hanno dovuto arrendersi all’evidenza dei fatti: la gente non li vuole piu’, li ha cacciati. Il loro collega alla testa del governo federale non se ne vuole andare neanche lui, anche se a Sarajevo da giorni la rivolta inonda le strade e blocca il centro citta’. Nel concitato weekend, il premier federale Nikšić prima ha detto che sarebbe stato irresponsabile da parte sua andarsene, piu’ tardi ha affermato che se fosse stato nominato un sostituto se ne sarebbe andato anche subito, e infine ieri, tramite il partito socialdemocratico di cui fa parte, ha mandato in parlamento una proposta di modifica della legge elettorale che consenta elezioni anticipate.
Manovra disperata della casta politica per salvarsi: e’ evidente che la SDP (che probabilmente su questo raccogliera’ consensi anche da altri partiti) conta su una rapida corsa alle urne per raccoglier piu’ che puo’ con la sua macchina partitica ben strutturata nel paese, prima che i movimenti spontanei di cittadini abbiano avuto tempo di organizzarsi e radicarsi. La societa’ bosniaca infatti e’ ferma (ovvero lo e’ stata fino a una settimana fa), paralizzata, ostaggio di una palude di miseria e paura, la classe dirigente ha radici capillari nel sistema parallelo di nepotismo, clientelismi e corruzione che non lascia spazio ad alternative. Dopo una prima fase di sollievo per la fine della guerra, e un illusorio boom economico spinto dagli aiuti umanitari e da quelli per la prima ricostruzione, la Bosnia ha iniziato a scivolare inesorabilmente verso l’inferno, un inabissamento accelerato dalle conseguenze della crisi mondiale. Saccheggio sistematico delle risorse comuni da parte dei nuovi potenti che si sono enormemente arricchiti sulla rovina dei loro concittadini, privatizzazioni truffaldine, distruzione dell’economia reale, con il settore pubblico sempre piu’ agognato rifugio, salvezza dall’angoscia di disoccupazione, sottoccupazione, miseria e disperazione. Ma il settore pubblico, ipertrofico e causa di un indebitamento perenne con il Fondo Monetario Internazionale, e’ riserva di caccia dei partiti che lo usano come sistema per ottenere e mantenere il potere: posti di lavoro ed altri benefici sono merce di scambio, per voti, denaro, o altre forme di sottomissione. Per convenienza o per paura, due facce della stessa medaglia, in tanti, troppi, si sono abituati a non fare l’onda.
E la situazione di anno in anno si e’ avvitata sempre di piu’, con la disoccupazione che passava la soglia astronomica dei 550.000 a spasso su neanche quattro milioni di anime. Retribuzioni minime, per troppi fra i troppo pochi che lavorano, di 200, 300 euro, pensioni minime da 150. In un paese nel quale comunque e’ impossibile vivere con meno di 500 euro al mese. Senza le rimesse della massiccia emigrazione all’estero (la “diaspora” come la chiamano qui), questo popolo non sarebbe neanche riuscito a sopravvivere cosi’ a lungo. Ora non basta piu’ neanche quello.
La rabbia di Tuzla, che e’ stata la prima perche’ con il suo passato recente di grosso centro industriale ha ancora uno straccio di organizzazione sindacale, ha fatto sentire una voce che in Bosnia non si era mai sentita prima: l’urlo dalla strada, arrochito e selvaggio, da centinaia, migliaia di lavoratori e disoccupati, studenti e pensionati, ma anche casalinghe, madri di famiglia, tranquille signore di mezza eta’ trasformate in pasionarie. Nessuno si e’ stupito, lo stupore da almeno cinque anni serpeggiava sul fatto che un’esplosione del genere continuasse a non verificarsi, nonostante le ingiustizie e le umiliazioni sempre piu’ pesanti sopportate dalla gente. Una specie di folie a deux, fra i “potenti” sempre piu’ arroganti e sfacciati, quasi eccitati dalla passivita’ sempre piu’ assurda delle masse, sempre piu’ impegnati ad arraffare, aumentarsi stipendi ed emolumenti aggiuntivi, gestire affari sporchi, gozzovigliare allegramente fra auto di lusso e accumulo di patrimoni immobiliari di fronte agli occhi di masse sempre piu’ immiserite, e il motto desolante di queste, “šuti i trpi”, taci e subisci.
Per questo il premier del governo cantonale di Tuzla quel fatale mercoledi’ 5 febbraio non si e’ degnato di incontrare lavoratori e manifestanti, sindacati e disoccupati, che venivano a chiedere per l’ennesima volta soluzioni per migliaia di dipendenti delle aziende statali un tempo floride, i grandi kombinat della Tuzla industriale distrutti da inettitudine e disonesta’ dei politici post jugoslavi. La sua arroganza e’ stata l’ultima goccia, ovvero la scintilla.
La rabbia di Tuzla si e’ trasmessa per osmosi da una citta’ all’altra, ha toccato finalmente quello strato di emozioni represse che la gente si teneva dentro da troppo tempo. E’ stata come un’onda, una scossa di terremoto che ha attraversato il paese. Un punto di non ritorno. Zenica, Bihać, Mostar, Sarajevo e poi una sfilza di centri piu’ piccoli. Gente in strada, sassate contro i palazzi dei governi, poi addirittura molotov, fiamme che si levano dalla presidenza dello stato a Sarajevo, come dal governo cantonale di Tuzla, auto bruciate nel parcheggio di quello di Bihać. Scene mai viste prima, nel dopoguerra.
Ben altra cosa dalla protesta di qualche mese fa per lo JMBG, il codice fiscale negato: in piazza allora era scesa una minoranza abbastanza risicata di manifestanti indignati perche’ i conflitti politico-pseudo-etnici fra le due meta’ della Bosnia avevam finito per privare i neonati di codice fiscale e documenti. Due piccoline di pochi mesi, malate gravi che necessitavano di cure all’estero, pagarono con la vita il ritardo nell’ottenimento del passaporto. Era stato uno scossone, comunque, perche’ il blocco del parlamento a Sarajevo da parte dei manifestanti aveva rilevato la vigliaccheria dei potenti, col capo del governo che scappava dalla porta di servizio protetto da muscolose guardie del corpo. Ma il nerbo della protesta era forse un po’ troppo middle class e intellettuale per toccare la “pancia” del paese. A Tuzla invece sono stati operai, disoccupati, tifosi e giovanissimi a invadere le strade. E a Tuzla, come nelle altre citta’, non si e’ vista presenza delle onnipresenti “organizzazioni non governative”, l’armata di oltre 12.000 associazioni e non profit vari spuntati come funghi in questi anni per cogliere l’opportunita’ dei finanziamenti esteri. Questa cosiddetta “societa’ civile” si trova probabilmente in forte imbarazzo all’idea di sporcarsi le mani con una protesta che violenta e’ stata, in questi giorni, anche se molto meno di quanto avrebbe potuto essere. Ma tutti sanno benissimo che senza passare questa linea, la prepotente classe politica non si sarebbe minimamente scossa. A Bihać le teste piu’ calde fra i manifestanti venerdi’ scorso hanno sfasciato a sassate tutte le vetrine dell’hotel di lusso della famiglia del premier cantonale, sabato sono andati a cercarlo a casa invadendo la via e lanciando pietre, ma nella sessione straordinaria del parlamento tenutasi domenica notte lui ancora non se ne voleva andare: comparso a mezzanotte ben deciso a non dare le dimissioni, ci ha messo fino all’una meno dieci per mollare. La registrazione del rabbioso “vaffa’… “ indirizzato dal premier del cantone di Sarajevo alla giornalista che gli aveva chiesto se si sarebbe dimesso ha fatto il giro della Bosnia. Ma alla fine ha dovuto dimettersi anche lui.
L’idea delle elezioni anticipate e’ un tentativo di contenimento, l’extrema ratio della casta per salvare se stessa. Tanto che nelle ultime ore inaspettatamente si e’ dichiarato a favore anche il gran boss della Republika Srpska, il presidente Milorad Dodik, il grande avversario della Bosnia unita. In questa settimana di fuoco, la RS e’ rimasta tutto sommato tranquilla, con pochi tentativi sporadici di proteste con pochissimi partecipanti. Dodik e la premier Željka Cvijanović si sono sprecati in dichiarazioni sulla Republika Srpska come “democrazia stabile”, in linea con una propaganda che per anni ha cercato di convincere gli abitanti, in gran maggioranza serbi, che la RS e’ un paradiso di benessere rispetto alla caotica Federazione BiH. Cosi’ in questi giorni si sono autocongratulati del fatto che la confusione della Federazione non abbia contagiato l’ordinata e tranquilla RS.
La verita’ e’ ben diversa: la Republika Srpska affonda nella miseria e nella corruzione non meno della Federazione, ma Dodik e tutta la classe dirigente fin qui son riusciti a distrarre la gente con la retorica nazionalistica. Sanno bene invece quanto sia pericoloso per loro un possibile risveglio delle masse, ispirato dai fatti di Tuzla: per questo da giorni e’ in corso un’isterica campagna stampa che cerca di presentare la ribellione in Federazione come una questione etnica, tentando perfino di suggerire che potrebbe rivolgersi contro la RS.
Le poltrone di tutti i potenti in realta’ erano da tempo traballanti, per via delle feroci lotte intestine fra partiti. Sono passati quasi quattro anni dalle ultime elezioni generali, che erano state seguite da ben quattordici mesi senza la formazione di un governo nazionale proprio a causa delle riffe fra partiti. La soluzione faticosamente raggiunta non era durata molto, perche’ ulteriori intrighi avevan fatto saltare tutti i tavoli e rimescolate di nuovo le carte.
Questi giochi di potere, esclusivamente e sfacciatemente volti alla spartizione di aziende pubbliche e sfere di influenza, avvenivano sotto gli occhi della massa sempre piu’ impotente ed esclusa. Mentre l’economia affondava sempre di piu’ e la Bosnia iniziava a perdere finanziamenti dei fondi europei per l’agricoltura e lo sviluppo della piccola e media impresa.
Per questo ora i movimenti di cittadini pretendono nuovi governi costituiti da persone che con i partiti non abbiano nulla a che fare. Persone competenti che si occupino delle rivendicazioni della gente normale.
Quante speranze ci sono che questi primi esperimenti di democrazia diretta non vengano soffocati sul nascere? Le lobby di potere che ruotano intorno ai partiti hanno messo radici ben profonde in questa societa’ disperata, nella quale la stragrande maggioranza della gente ha paura, paura di perdere il poco che ha, ed e’ abituata alla logica di cercare un protettore fra i “potenti”, o quanto meno di non rischiare di mettersi in rotta con nessuno.
Se riuscira’ la manovra di assorbire la forza di impatto della ribellione imbrigliandola nelle elezioni anticipate, sara’ una corsa contro il tempo per questi movimenti spontanei per cercare di esprimere liste di candidati. Che poi dovrebbero lottare contro le macchine ben oliate di partiti che hanno mezzi finanziari e pacchetti di voti dai loro serbatoi elettorali tradizionali. Per ora non c’e’ stata reazione dalla strada su questa manovra del potere consolidato. Resta da vedere cosa accadra’ nei prossimi giorni.
L’una e ventitre’, vola la prima pietra contro le finestre. Scroscio di vetri. La folla applaude. La polizia non fa una piega. Un’altra pietra, un’altra e un’altra. Ai migliori centri, quando la lastra si sbriciola per bene con tutti gli effetti sonori di corredo, l’applauso cresce di tono. Venerdi’ 7 febbraio 2014, […]
L’una e ventitre’, vola la prima pietra contro le finestre. Scroscio di vetri. La folla applaude. La polizia non fa una piega. Un’altra pietra, un’altra e un’altra. Ai migliori centri, quando la lastra si sbriciola per bene con tutti gli effetti sonori di corredo, l’applauso cresce di tono. Venerdi’ 7 febbraio 2014, il giorno due a Bihać, giorno tre da quando e’ iniziata la rivolta, a Tuzla. Ieri a Bihać contro la sede del governo del Cantone Una Sana eran volate solo palle di neve e uova. Un assembramento spontaneo, senza capi ne’ richieste precise, un bubbone di rivolta dopo quasi vent’anni di umiliazioni, la rabbia contro la classe dominante inetta e ingorda ma soprattutto insopportabilmente arrogante. A Tuzla e’ saltato il tappo, una cosa attesa ormai da anni. Nessuno stupore che sia accaduto, lo stupore lo vivevamo ormai da anni perche’ NON accadeva, nonostante le ingiustizie sempre piu’ assurde che questo popolo subisce da anni.
La fine del “šuti i trpi” – “taci e sopporta”, il motto della Bosnia del dopoguerra.
Il ruggito della strada a Tuzla ha segnato la fine di un’epoca.
Venerdi’, Bihać, ieri. Pietre, finestre infrante, applausi. Ogni sassata, ogni tintinnio di vetri, nella psiche massacrata della gente rappresenta un pugno in faccia a coloro che normalmente siedono in quegli uffici (ora son vuoti, sono scappati tutti prima), i privilegiati, quelli che hanno una paga sicura, in un territorio dove appena il quindici per cento della popolazione ha un posto di lavoro. E di questi molti sono a mantenere famglie con paghe da due, trecento euro, con un costo della vita non molto inferiore rispetto a quello occidentale. Soprattutto sul cibo. Anche Elle accanto a me applaude. E questo mi da’ la misura di quanto profonda sia la cosa… Una giovane professoressa e attivista, una delle personi piu’ colte e civili che ci siano, ma quei vetri che cadono in strada sono un canto di liberazione anche per lei. “Mi sembra di lottare contro muri di gomma…” spiegava quest’estate ad amici italiani che avevamo in visita.
“Spiegaci, per favore, noi non abbiamo capito niente…” Dal 2001 una quantita’ di turisti non per caso mi hanno inondata di domande appena sbarcati qua. E io continuo il mio lavoro di vent’anni fa – in un altro modo. Ora mi ci rimettero’ come facevo all’epoca: lo so, che non ci capite niente, di Bosnia. C’e’ una discreta possibilita’ che continuiate a non capirci niente dai soliti articoli di colore.
Per capirci qualcosa ci devi vivere. Ma da comune mortale, non privilegiato. Mi viene sempre in mente Sigfrido: se vuoi capire il canto degli uccelli, devi prima assaggiare il sangue del grado. Io l’ho fatto.
La voce della strada infuriata: una voce che nella Bosnia del dopoguerra non si era ancora mai sentita.
Arrochita, selvaggia, accompagnata dallo scroscio dei vetri che si infrangono sotto le sassate, una gragnuola contro le finestre e il palazzo del governo tutto. Fumogeni? Molotov? Quando mai si era vista una cosa del genere da […]
La voce della strada infuriata: una voce che nella Bosnia del dopoguerra non si era ancora mai sentita.
Arrochita, selvaggia, accompagnata dallo scroscio dei vetri che si infrangono sotto le sassate, una gragnuola contro le finestre e il palazzo del governo tutto. Fumogeni? Molotov? Quando mai si era vista una cosa del genere da questo popolo passivizzato, depressivizzato, lobotomizzato?
Il ruggito della strada, il governo e’ scappato.
Vetri infranti, come l’illusione (la menzogna!) che sia possibile la “democrazia” senza giustizia sociale. Giacciono nella polvere, fra i sassi, i cocci di un quarto di secolo di illusioni.
O meni – Chi sono – About me
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