Una non mi lascia lavorare. Oggi pomeriggio e’ allegra e spumeggiante. Canta, come solo lei sa cantare per me. E il cervello mi va in acqua. “Devo parlare di te a tutta quella gente la’ fuori che non ti conosce… “, tento debolmente di convincerla a mollare la presa. Lei ride. Gli uccellini sugli […]
Una non mi lascia lavorare. Oggi pomeriggio e’ allegra e spumeggiante. Canta, come solo lei sa cantare per me. E il cervello mi va in acqua. “Devo parlare di te a tutta quella gente la’ fuori che non ti conosce… “, tento debolmente di convincerla a mollare la presa. Lei ride. Gli uccellini sugli alberi qua intorno trillano. Sospiro. Giro lo sguardo intorno: ai tavolini di marmo, nessuno. Vuote le eleganti sedie di ferro battuto. Deliziosa ombra sulla terrazza, oasi nascosta in un punto dove la sponda e’ alta. Un paio di metri sotto, un po’ di sentiero e due giovani pescatori, uno pazientemente lancia e rilancia la lenza dalla lunga canna, l’altro seduto sull’erba guarda. Trentadue gradi alle cinque del pomeriggio e’ tantino per un 28 maggio. Ma io ho i miei trucchi, so dove infrattarmi.
Siamo in centro, a due passi dall’area che un tempo cingevano le mura medievali. Ma potremmo essere in Amazzonia. Anche l’hotel che interrompe lo spumeggiante muro verde di alberi sulle rive e’ un edificio piccolo, non disturba troppo. Piccola anche la casina sopra la chiusa della centrale elettrica costruita ancora dall’Austria Ungheria. Nel basamento si apre un arco nel quale da lontano guardo precupitare l’acqua. L’edificio e’ seminascosto dagli alberi. La punta di un tetto che appena si intravede fra le fronde sull’altra riva e’ l’unico altro segno di presenza umana.
“Mi fai lavorare?” Lei non se ne da’ per inteso. Ma percepisco l’altra nota, quella della forza, accanto alla bellezza. Una e’ potente. E selvaggia. Una delle sue infinite barriere di “sedra”, travertino, la rivela in questo punto: quanta ricchezza d’acqua e quanta forza abbia si capisce solo quando queste scogliere che lei stessa crea rompono la superficie ingannevolmente calma.
La sua voce ipnotica e’ piu’ forte di me. Neanche l’immancabile caffe’ aiuta.
Mi dispiace per tutti coloro che non possono godersi questo luogo e momento di un’altra dimensione: questo penso immancabilmente, da tanti anni. Basta che mi guardi intorno, ovunque sia, sembra sempre di stare dentro il Signore degli Anelli.
Provo a spiegare a Una che mi sento egoista a non condividere. Lei si avvolge nelle sue onde, non dice niente, ma allenta un po’ la presa. Riesco ad aprire WordPress e mettermi a scrivere.
“E’ una benedizione che mi lavi il cervello, Una, non pensare che non apprezzi. Grazie. Vorrei solo spiegarlo un po’ in giro. C’e’ tanta gente la’ fuori che ha bisogno proprio di questo: fermarsi. Sedersi qua accanto a te e ascoltarti cantare. Farsi catturare gli occhi dal movimento della tua spuma sulla roccia e farsi rapire i pensieri. Imparare lo zen di spazio, vuoto, silenzio. L’arte del non-fare. Ti prometto che ci ritorno fra pochi minuti, solo che scrivo qualche riga”.
Non dice nulla ma mi lascia fare.
Ecco, quel poco sono riuscita. Ma ora me ne torno nella mia dimensione altra: le benedizioni vanno onorate.
Un cambiamento impercettibile nell’aria, la morsa del caldo che si allenta, annuncia il tramonto in arrivo. La luce sul verde ha preso un’altra tonalita’. Un filo di brezza agita i rami dei salici. Paperelle spericolate si lanciano in voli a pelo dell’acqua. Mi sono ricordata che prima di buio devo fotografare nuovi fiori lungo il sentiero dietro casa. E raccogliere un po’ delle mie erbacce preferite per cena.
In un posto piccolo come questo, anche se nel caffe’ in riva al fiume non c’e’ quasi nessuno, meta’ sono conoscenti che insistono per offrirmi da bere. Passo la mano sulla birretta, anche se e’ buona la Preminger, ripiego sul succo di mela.
Detox perfetto. Non venite qua se siete di quelli che non riescono mai a star fermi. O al contrario, veniteci proprio se siete di quelli, ma con un forte desiderio di imparare a fermarvi.
Ascoltarti ascoltarti cantare….
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