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Ignorare e’ la violenza piu’ grande. Quando vuoi cancellare qualcuno. Lo ignori.

Siedo nella mia casa sotto la montagna, in Bosnia. Quelli la’, a Milano, mi ignorano.

Poco fa mi ha chiamato Eno, uno dei nostri agricoltori, un veterano, una carissima persona, un po’ avanti con gli anni ma iperattivo, gentilissimo, entusiasta, pieno di idee. Mi son sentita sprofondare dalla vergogna, pochi giorni fa, sul suo campo in collina: “Da voi non si riesce a saper niente di certo, ho piantato da solo, quattro dunum di talee mie.” Due giorni prima ero da Husein, che invece e’ giovane, ma con moglie e figli, ed e’ disoccupato: un altro entusiasta, lui vuole assolutamente fare il biologico fin dall’inizio, vorrebbe anche cinque dunum, ma visto che sa che ci son tante richieste, si accontenta di tre. Anche lui mi chiede dove ero finita. E decine di altri.

Ho dovuto spiegar a tutti cosa sta accadendo, non e’ piu’ possibile tacere alla gente che siamo a rischio che vada tutto in niente. Ci chiamano continuamente, da un mese, chiedono se ci sara’ questa piantagione primaverile, o no.

Ma a Sarajevo c’e’ un ambasciatore che si e’ scocciato perche’ un altro ambasciatore l’ha scocciato, perche’ un suo amico l’ha tirato per la manica e questo amico ha una moglie che piaceva tanto al capoprogetto della ONG che mi son tirata in casa per far questo lavoro. Questo per assumerla a tutti i costi si e’ comprato il giovanotto presidente della nostra associazione, tutti e due han scatenato una campagna di calunnie contro di me verso Milano, ci ho messo buona parte dell’estate a far rientrare questo casino. Questo accadeva ormai molti mesi fa. Ma c’era stato un passaggio di denaro facile che non avrebbe dovuto esserci, due assunzioni taroccate, la ONG italiana che anche dopo aver capito l’inghippo si rifiuta di disciplinare i mariuoli, perche’ la parola d’ordine e’ una sola: insabbiare. Insabbiare insabbiare insabbiare. Il ministero degli esteri non ne deve saper niente “senno’ ci chiudono il progetto”. Altri veleni, ricatti, pressioni su di me… “pagali, che staranno buoni”. “NEANCHE MORTA!”

Infatti ci stanno provando, ad ammazzarmi.

Son senza lavoro, sotto accusa, una coalizione di interessi sia sul lato bosniaco sia su quello italiano che cerca di buttarmi fuori dal mio progetto. Il progetto e’ bello, certo, l’ho fatto io… C’e’ dentro la mia vita e quella della gente con cui da dieci anni facciam le cose, piccole ma buone. Dovevano aiutarmi a farle crescere, gli italiani. Questi erano i patti. La realta’ invece e’ di nuovo quella (perche’ mi era gia’ successo, e neanche una volta sola): ora che abbiam preso i soldi non ci servi piu’, anzi, sei scomoda, sei pericolosa. Non stai mai zitta.

Tutta una vita cosi’, sempre cosi’.

Subisco un’ingiustizia? Mi ribello. Pianto un casino. Sempre.

“Hai ragione tu, ma non dovevi farlo”. I miei compagni di classe in terza liceo, dopo una baruffa col prof. che all’Oberdan di Trieste fece la storia.

“Sei brava, scrivi bene, ma troppo problemi…”. Il direttore del Meridiano, cinque anni dopo.

E avanti, avanti, avanti… Quante volte?

La cosa buona, ora che ci penso, e’ che mi sono liberata di quel senso di colpa. Perche’ ogni volta, ogni volta, in quei drammi di anno in anno, restava il dubbio: ma forse hanno ragione loro, forse ho esagerato… Senso di colpa, una cosa molto femminile.

Se n’e’ andato.

Non me lo sento piu’ addosso, dentro.

Mi viene in mente cosi’, mentre scrivo, e mi spunta un sorriso, in questa giornata un po’ grigia di primavera. Accidenti, mi dico: sono libera.

Non ho esagerato io, non ho sbagliato: sto solo facendo cio’ che ritengo giusto, ed andro’ fino in fondo. Ho paura, nonostante tutto. Ieri il mio figliolino bosniaco Eno si e’ molto stupito quando gliel’ho detto: paura? figliolo, sono terrorizzata, non spaventata. Mi ha fatto due occhi cosi’. Non e’ che lo nascondo, ma agisco in modo estremamente aggressivo. Nessuno vede le ferite che ci son dietro, ma non ci si puo’ far niente, e’ parte del prezzo che pago.

Pero’ quel fetido senso di colpa se ne e’ andato. Il tarlo del dubbio. Santa Madre Bosnia Benedetta, e la tua gente: mi avete insegnato a guardar dritto al sodo, a liberarmi delle seghe mentali di noi intellettuali del cazzo, borghesi, italiani, di sinistra. Benedetti siate, Santa Madre Bosnia, tu e la gente. E quella parolina “concreto”, che ripetono sempre. Mi ha bruciato via di dosso, quasi del tutto (qualche traccia c’e’ ancora), l’evanescenza del mio personaggio di origine. Sensi di colpa, si’, ne ho avuti proprio nei confronti della gente, per non riuscire ad essere abbastanza “concreta”: ma sto imparando.

Allora, ho raccontato alla gente cosa sta succedendo. Perche’ siam tutti qui come deficienti, bloccati ad aspettare le seghe mentali di quelli delle ONG e del Ministero. Ho chiesto che mi sostenessero, hanno accettato.

A Milano e Roma pero’ ci ignorano.

“Cooperazione”, “partenariato”, “condivisione”… parole vuote. Parole parole parole (penso a Mina, mi suona nelle orecchie).

Il principio USAID, questa e’ la realta’: lo imparai al tavolo dell’ambasciatore di otto anni fa, quella volta era uno che si chiamava Saba D’Elia, e lo ascoltai spiegar questa cosa a pranzo durante una pomposa conferenza extralusso a Sarajevo. Sfrondato e riassunto: la cooperazione fa finta di dare 100, e riporta in patria 90, tramite le sue aziende, organizzazioni, agenzie varie. Qua i bosniaci sono piu’ sbrigativi e lo chiamano: pranje love. Lavare il denaro = riciclare.

Anni fa pensavo la mettessero giu’ troppo dura, mi dicevo che son cinici, non capiscon gli alti ideali… Cose cosi’.

Ho imparato.

Sulla mia pelle.

L’Italia – che non e’ piu’ il mio paese – ha troppo da fare con le barzellette di Berlusconi.

O comunque, di storie brutte a cui pensare ne ha gia’ tante. E vanno a cassetta, c’e’ un catalogo, giorno per giorno, delle cose che sono importanti, sotto i riflettori, quelle che “fanno l’opinione pubblica”, come si dice. Oggi posso sapere quali sono le storie nel menu del giorno perche’ c’e’ internet, i giornali me li sfoglio. E che son fatti in serie l’avevo gia’ scoperto vent’anni fa, ci lavoravo, nel settore.

C’e’ troppo rumore di fondo, oggi. Tutti sono troppo impegnati. Tutti sono troppo di fretta. Nessuno ha tempo per nessuno. La vita e’ prenotata vent’anni in avanti.

Siamo soli, quaggiu’.

Ma questa e’ una conclusione alla quale ero arrivata gia’ da qualche anno.

Torniamo all’essere ignorati: l’estate scorsa, durante il primo round di questa vicenda, mi son pur tuttavia sentita squartare. Dall’essere ignorata. Esclusa. Ho quarantasei anni e mezzo, ma in questo sono ancora una bambina. Ho bisogno di essere accettata e amata (lo abbiamo tutti, ma io me ne rendo conto, a differenza di tanti altri). La violenza paurosa che mi vien fatta, nell’esser considerata un oggetto scomodo, da neutralizzare, buttare, possibilmente giu’ nella fossa delle Marianne che proprio se ne perda traccia… questa violenza la sento tutta, e mi spezza il cuore.

Mi salva l’aver capito una cosa, nel mio percorso: che questo e’ ego. La parte egocentrica della storia. Il bisogno di sentirsi apprezzati. Il bisogno che qualcuno ti dica “brava, che belle cose che fai”. Non e’ che sia un crimine, ma non e’ la storia vera.

La storia vera non e’ l’ego, e’ l’amore.

La Bosnia, questi miei dieci anni… e’ stata la mia personale linea del fronte, la mia discesa agli inferi, il mio fare i conti con tutto questo. Perche’ la Bosnia e’ il luogo anti-ego per eccellenza, il luogo che ti pela vivo, ingrata e velenosa, schizzata di cervello, in conflitto con tutti e con se stessa. Ma con un cuore grande cosi’, un’anima profonda e infinita e irraggiungibile.

“put od tebe do mene nije isto što i put od mene do tebe”

Per questo sono ancora qua.

Per amore, non per ego.

Se fosse per ego mi sarei spezzata da tempo. O meglio: sarei rimasta spezzata. Perche’ mi spezzo si’, l’ego e’ la’, mi spezzo tante volte ogni giorno, mi agito, mi arrabbio… Ma per fortuna, non e’ tutto la’. Quello e’ solo il mio infantilismo che permane.

Ma sotto quello c’e’ la storia vera, l’amore. Il semplice pulsare della vita nelle vene. La sua inevitabilita’. Cio’ che fa cadere gli schemi e le barriere, e guardare diritto.

Devo piantare i lamponi.

La gente mi sta aspettando.

Bevo un altro caffe’, e vado avanti.

 

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