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A Sarajevo ogni giorno la gente scende in strada chiedendo le dimissioni del governo della Federazione.

A Sarajevo la gente continua a scendere in piazza ogni giorno, proteste pacifiche proseguono quotidianamente in varie citta’ della Bosnia, mentre i plenum, le assemblee aperte dei cittadini, muovono i primi passi. In parallelo si muove il regno delle ombre: intrighi sia dietro le quinte sia sul palcoscenico dei media iperpoliticizzati e ipermanipolati, polemiche e accuse reciproche, lotte al coltello fra i partiti. Le lotte di potere a tutti i livelli e i veleni sono una costante della vita di questo paese, ed uno dei fattori determinanti dell’atmosfera di continua isteria e pressione che alla fine ha fatto saltare i nervi alla gente.  Ma neanche la “rivoluzione” di questi giorni ha fatto perdere il vizio ai vari lupi e lupetti che anzi, dopo un momento di shock, stanno usando la situazione per alimentare le loro manovre. Dopotutto, e’ pure sempre un anno elettorale.

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Pugilato fra i big della politica

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Fahrudin Radončić, ministro degli interni del governo statale.

E’ guerra aperta ormai fra il Berlusconi bosniaco, Fahrudin Radončić ministro degli interni, accusato da piu’ parti di aver segretamente fomentato e finanziato le rivolte nelle strade, e i due maggiori partiti della Federazione, la SDP (partito socialdemocratico, cui appartengono il premier del governo federale, Nermin Nikšić, e il ministro degli esteri dello stato, Zlatko Lagumdžija, presidente del partito) e la SDA (Partito di Azione Democratica del defunto primo presidente della Bosnia, Alija Izetbegović, il cui figlio Bakir oggi e’ il rappresentante bognacco nella presidenza tri-etnica, formale capo di stato del paese). Radončić, editore del primo quotidiano del paese (Dnevni Avaz) e fondatore del partito SBB (Alleanza per un futuro migliore), sta apertamente cavalcando la tigre della protesta popolare spendendo fiumi di retorica a favore del popolo calpestato, pur essendo non solo uno degli uomini piu’ ricchi della Bosnia ma anche messo in questione per il modo in cui ha costruito le sue fortune. Mossa spericolata la sua di cercare di porsi come tribuno popolare – in linea peraltro con il suo personaggio di self made man, prima come imprenditore e poi come politico – data la sua posizione di “primo poliziotto” dello stato. Fioccano accuse da varie fonti su presunte regie oscure da parte sua e finanziamenti ai gruppi piu’ violenti di manifestanti. Le ipotesi piu’ estreme parlano di tentativi di colpo di stato e influenze estere dietro allo stesso Radončić.

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Il ministro degli esteri Lagumdžija e il premier federale Nikšić (SDP).

Quel che e’ certo e’ che i suoi avversari politici sono accorti del pericolo ed ora freneticamente cercano di cacciarlo:  la SDA ha annunciato che avviera’ un’iniziativa parlamentare per far dimettere Radončić, che come ministro degli interni non avrebbe fatto il suo dovere per garantire la sicurezza del paese. Una lettera aperta con invito a dimettersi era gia’ stata inviata dal premier federale Nikšić, e sostenuta dal ministro degli esteri Lagumdžija. Come si sta impostando la partita e’ evidente anche sulla faccenda delle elezioni anticipate: iniziativa lanciata in fretta e furia dalla SDP, con il popolo in rivolta sotto le finestre che torna ogni giorno a bloccare il centro a Sarajevo chiedendo le dimissioni del governo della Federazione. Ora anche la SDA  si dichiara a favore di elezioni anticipate. Ovvio il tentativo di disinnescare la mina vagante di un movimento popolare nascente: sia la SDP che la SDA hanno una struttura partitica nazionale e capillare ben radicata, e gestiscono clientele e pacchetti di voti, tramite il loro controllo su amministrazioni ed aziende pubbliche con le quali concedere prebende e posti di lavoro.

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Scene mai viste nel dopoguerra a Sarajevo… Venerdi’ 7 febbraio 2014.

Se si va a votare in fretta e furia fra due mesi, SDA e SDP sperano di trattenere la maggior parte delle rispettive basi elettorali prima che si faccian sedurre dal fascino della democrazia diretta, e che i plenum popolari possano organizzarsi elettoralmente. Il partito di Radončić, la SBB, ha appena quattro stagioni di vita: quando lo presento’ fu proprio lui a citare Berlusconi come modello. La SBB non ha sfondato, ma si e’ affermata abbastanza da avere suoi rappresentanti in tutti gli organi elettivi della Federazione e pesare nelle alleanze; difficile pero’ che cresca tanto nei prossimi otto mesi da prendere il potere… a meno di circostanze eccezionali! Radončić e’ un personaggio particolare, giudicato spregiudicato per il modo in cui in anni passati ha usato proprio la SDA come appoggio per una fulminante carriera imprenditoriale (la torre a tirabuscio’, grattacielo futurista nuova sede del suo quotidiano che domina il panorama di Sarajevo, e’ il simbolo del suo potere e successo, finanziata abbondantemente da crediti pubblici), per poi buttarla a mare e scendere in campo con un partito tutto suo. Con la SDP poi e’ una storia odio – amore (ovvero matrimonio d’interesse dopo anni di rivalita’ e insulti reciproci, un’alleanza durata pochi mesi che pero’ gli e’ valsa un ministero cruciale ai massimi livelli dello stato) – odio: ri-ufficializzato proprio in questi giorni convulsi.

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Tuzla il secondo giorno della protesta (6 febbraio 2014).

Il Berlusconi bosniaco le elezioni anticipate non le vuole. Ha accusato fuori dei denti gli altri di essere dei truffatori, che alle elezioni frodano il popolo con brogli elettorali. Evidentemente punta a guadagnar terreno agli occhi degli elettori continuando a spendere retorica infuocata a favore del povero popolo martoriato e vittima di ingiustizie, come sta facendo in tutti questi giorni. Cosa che fa un po’ impressione venendo da uno degli uomini piu’ ricchi della Bosnia, che da un paio di stagioni e’ pure ministro dello stato. Forse pero’ non e’ solo su un maggiore bottino di voti che fa conto Radončić. Con l’avvertenza che nei Balcani la passione per le teorie della congiura supera anche quella per il calcio, ci si puo’ in questi giorni dilettare a disegnare scenari. E chiederci se ci sia dietro anche qualcuno al di fuori dei confini della piccola Bosnia.

Un paese diviso

Apriamo la solita parentesi necessaria per spiegare come e perche’ un paese che non arriva a quattro milioni di anime (secondo l’ultimo censimeno appena concluso) abbia quattordici governi. Come sia possibile che ci stiano dentro due cosiddette “entita’ ” , di cui una e’ denominata federazione (divisa a sua volta in dieci cantoni, per cercare di far contenti anche i Croati senza pero’ dare loro una terza “entita’ “) e l’altra repubblica. Con l’appendice di un distretto indipendente che durante la guerra era un “corridoio” fra i territori est ed ovest della Republika Srpska, e dopo si e’ dovuto lasciare a parte perche’ ovviamente non era possibile metter d’accordo gli altri due su chi se lo dovesse tenere. Vi gira gia’ la testa? Normale. Diceva Ivo Andrić: “Dove finisce la logica, incomincia la Bosnia”.

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Le “entita'” in cui e’ divisa la Bosnia Erzegovina con il sistema di Dayton.

In questo caso pero’ non e’ neanche colpa della Bosnia, sono solo le conseguenze di una guerra non finita. Congelate a Dayton, Stati Uniti, nel 1995, dagli accordi di pace. Il grande sponsor del sistema di Dayton all’epoca fu il diplomatico americano Richard Holbrook. In pratica, gli accordi di Dayton santificarono la divisione etnica della Bosnia, legittimando istituzionalmente la Republika Srpska. Una ferita impossibile da rimarginare che ha avvelenato la vita del disgraziato paese in tutti questi anni. Da un paio di stagioni chi ha occhi per vedere sa che gli americani ormai han capito di aver sbagliato tutto, con Dayton. Hanno creato un Frankenstein che neanche loro riescono a controllare. Sara’ forse teoria della congiura, ma che alcuni possibili risultati del terremoto sociale di questi giorni vadano in direzione dei desideri a stelle e strisce e’ un dato di fatto. Ad una riforma della Federazione BiH gli Stati Uniti puntano pubblicamente ed apertamente: gia’ nel 2013 hanno ingaggiato un gruppo di esperti giuristi e costituzionalisti che hanno prodotto un corposo studio con proposte di riforma, quasi duecento pagine. C’era un’idea di fondo di “coinvolgere la societa’ civile”, perche’ a far pressione sui partiti Washington ci sta provando ormai da otto anni ma non ne viene a capo. Tanto che ha cominciato ad investire pesantemente nella “lotta alla corruzione”, perche’ perfino gli USA si sono resi conto che una classe dirigente tutta concentrata sull’approfittare al massimo delle sue posizioni di potere per saccheggiare i beni pubblici non e’ interessata alle questioni geostrategiche mondiali.

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I dieci cantoni in cui e’ divisa la Federazione BiH. Furono creati per cercare di accontentare i Croati all’interno della Federazione senza concedere loro una terza “entita'”.

Il fatto e’ che i politici bosniaci non ascoltano nessuno. Neanche l’aquila americana. Non e’ quindi cosi’ assurdo pensare che l’idea di usare la forza di impatto della rabbia popolare a qualche stratega sia venuta. E’ un gioco estremamente pericoloso, ma anche i cittadini piu’ pacifici che non approvano sassate e molotov di questi giorni sconsolatamente ammettono che senza questa deriva violenta la classe dirigente non avrebbe battuto ciglio.

La Federazione e’ insostenibile come struttura e come costi. Un governo federale e dieci cantonali si mangiano una quota folle dei bilanci pubblici (chi dice settanta per cento, ma forse anche piu’), e creano microfeudi per una galassia di politici, oltre ad un armata di dipendenti pubblici che tipicamente accedono all’agognato stipendio garantito grazie alla connessione col potente di turno.  Se in questi giorni la folla inferocita ha lanciato di tutto – dalle uova alle molotov – contro i palazzi dei governi cantonali una ragione c’e’: lo sfogo contro il simbolo stesso del privilegio.

Finora pero’ sono caduti premier e governi espressi proprio da SDP e SDA, e questo rinfocola la campagna di veleni e le teorie della congiura. Il potere assediato sta rapidamente predisponendo le sue contromosse. Oltre alle elezioni anticipate (da vedere se la cosa passera’), la SDA sta spingendo una mossa molto pericolosa: mettere in gioco le associazioni di ex combattenti. E non solo la SDA: la sera di domenica 9 febbraio, il premier del Cantone Una Sana (SDP) e’ comparso al parlamento cantonale riunito in seduta straordinaria in compagnia di uno dei piu’ noti comandanti di guerra. Che peraltro il giorno dopo e’ ricomparso a fianco del sindaco di Bihać (SDA), con un gruppo di presidenti di associazioni d’arma: si sono schierati pubblicamente a difesa delle istituzioni contro futuri possibili gesti violenti di “hooligan” vari. A livello locale, un messaggio chiarissimo. Un’uscita simile e’ stata fatta a livello federale da un’altra associazione di ex combattenti.

Anche su questo fronte, atmosfera torrida: e polemica “all out” sulla politicizzazione di queste associazioni, i finanziamenti che ricevono, ma soprattutto la questione dolorosa sui pochi carrieristi che ne traggono vantaggio e le masse di ex combattenti che fanno la fame. Molti dei quali stanno in strada in questi giorni a protestare.

Il genio fuori dalla lampada

In questo caos una cosa sembra ormai certa: indietro comunque non si torna.

Al di la’ di manipolazioni, “spin” mediatico (“spinovanje” ormai e’ una delle parole piu’ usate ed abusate), lotte di potere, diffidenza, polemiche ed isterie, che vada a finire bene o male, il punto di non ritorno e’ stato superato.

La rabbia e disperazione della gente sono reali.

Come reale e’ la situazione catastrofica in cui si trova il paese.

La condizione quasi di stupore ipnotico in cui il popolo stava affondando da anni e’ stata scossa dalla settimana di fuoco e di passione iniziata a Tuzla il 5 febbraio.

Un drammatico punto di domanda resta sospeso sulla Republika Srpska, che sta in condizioni non meno drammatiche, nonostante tutti i tentativi del presidente Milorad Dodik e della premier Željka Cvjanović di dipingere l’entita’ a maggioranza serba come “una societa’ matura, democratica, ordinata”. La gente nella RS semplicemente ha paura, ancora piu’ di quella della Federazione. Paura sia della repressione interna (il controllo politico e poliziesco e’ molto piu’ compatto che non nella federazione), sia dell’eterno spauracchio del nemico etnico. Quanta presa possa ancora avere questo secondo elemento resta da vedere: certo e’ pericoloso che come sempre il potere lo stia agitando, per cercar una volta in piu’ di distrarre un popolo affamato dalla reale radice dei suoi problemi.

Negli ultimi due giorni e’ spuntato il controllo alle “frontiere” interne fra Federazione e Republika Srpska: dal lato RS, punti di controllo, perquisizione di viaggiatori, e guardie con fucili a lunga canna.

L’Europa? Piu’ o meno tace, come sempre.

 

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