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Bosansko Proljeće

Il logo della Primavera della Bosnia Erzegovina (BiH Proljeće), nome del movimento dei cittadini a Bihać. Ha poche ore di vita. Il gruppo su FaceBook conta piu’ di 3000 iscritti.

Dal fondo della disperazione piu’ nera, da una societa’ completamente paralizzata ed affondata in una palude di disastro economico, disoccupazione, miseria, corruzione, nepotismo, spunta dopo una settimana di passione e rivolte di strada (l’intifada bosniaca a sassate e molotov contro i palazzi del potere, prima nelle citta’ principali e poi in decine di centri minori), il fenomeno dei plenum dei cittadini: assemblee aperte a tutti, nelle quali elaborare soluzioni ai problemi che tormentano la gente e che l’hanno fatta scendere in strada. Dal fallimento piu’ totale e disastroso della democrazia rappresentativa – i partiti trasformati in bande che lottano per spartirsi il bottino ed hanno completamente perso il contatto con la gente comune – tramite l’esplosione di rabbia nelle vie, alla democrazia diretta. Un salto di cinquant’anni in una settimana: che speranze ha?

Comunque sia, un movimento nato come ribellione spontanea in una grande onda emotiva, e’ riuscito nel giro di un paio di giorni ad emergere con una serie di richieste – legate soprattuto ai temi del lavoro, della giustizia sociale, dell’eliminazione dei privilegi dei politici – ed a porsi come interlocutore dei parlamenti nei cantoni dove governi e premier sono stati costretti alle dimissioni: i cittadini hanno dato ultimatum a dieci giorni ai parlamentari per la nomina di governi che saranno composti da rappresentanti scelti dai cittadini stessi, personaggi tecnicamente competenti e assolutamente apartitici. I politici hanno dovuto riconoscere il ruolo dei cittadini ed accettarli come interlocutori e co-gestori di scelte e decisioni. Comunque vada a finire, dopo anni di abbruttimento totale della societa’ bosniaca, e’ un incredibile segno di vitalita’.

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Cittadini in strada a Bihać, sabato 8 febbraio, bloccano l’accesso al ponte sulla Una. Ventiquattr’ore piu’ tardi il premier del Cantone Una Sana e’ costretto ad accettare le loro richieste di dare le dimissioni,

A Tuzla, primo focolaio della protesta iniziata il 5 febbraio, il plenum e’ in funzione da un paio di giorni e si riunisce quotidianamente alle sei di sera. Universita’ e Comune hanno messo a disposizione spazi per le necessita’ del movimento dei cittadini. Il governo del cantone di Tuzla si e’ dimesso, come quello del cantone di Zenica: ora ai parlamenti tocca la responsabilita’ di preparare, nei prossimi dieci giorni, la proposta di un nuovo esecutivo che la gente pretende sia scelto da loro e rigorosamente al di fuori da qualsiasi appartenenza ai partiti che da anni strangolano il paese. Anche a Zenica si sta costituendo il plenum dei cittadini, a Sarajevo si riunira’ oggi per la prima volta. A Sarajevo e a Bihać altri due premier cantonali inferociti e recalcitranti hanno dovuto arrendersi all’evidenza dei fatti: la gente non li vuole piu’, li ha cacciati. Il loro collega alla testa del governo federale non se ne vuole andare neanche lui, anche se a Sarajevo da giorni la rivolta inonda le strade e blocca il centro citta’. Nel concitato weekend, il premier federale Nikšić prima ha detto che sarebbe stato irresponsabile da parte sua andarsene, piu’ tardi ha affermato che se fosse stato nominato un sostituto se ne sarebbe andato anche subito, e infine ieri, tramite il partito socialdemocratico di cui fa parte,  ha mandato in parlamento una proposta di modifica della legge elettorale che consenta elezioni anticipate.

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Il plenum dei cittadini di Sarajevo – Pagina FaceBook

Manovra disperata della casta politica per salvarsi: e’ evidente che la SDP (che probabilmente su questo raccogliera’ consensi anche da altri partiti) conta su una rapida corsa alle urne per raccoglier piu’ che puo’ con la sua macchina partitica ben strutturata nel paese, prima che i movimenti spontanei di cittadini abbiano avuto tempo di organizzarsi e radicarsi. La societa’ bosniaca infatti e’ ferma (ovvero lo e’ stata fino a una settimana fa), paralizzata, ostaggio di una palude di miseria e paura, la classe dirigente ha radici capillari nel sistema parallelo di nepotismo, clientelismi e corruzione che non lascia spazio ad alternative. Dopo una prima fase di sollievo per la fine della guerra, e un illusorio boom economico spinto dagli aiuti umanitari e da quelli per la prima ricostruzione, la Bosnia ha iniziato a scivolare inesorabilmente verso l’inferno, un inabissamento accelerato dalle conseguenze della crisi mondiale. Saccheggio sistematico delle risorse comuni da parte dei nuovi potenti che si sono enormemente arricchiti sulla rovina dei loro concittadini, privatizzazioni truffaldine, distruzione dell’economia reale, con il settore pubblico sempre piu’ agognato rifugio, salvezza dall’angoscia di disoccupazione, sottoccupazione, miseria e disperazione. Ma il settore pubblico, ipertrofico e causa di un indebitamento perenne con il Fondo Monetario Internazionale, e’ riserva di caccia dei partiti che lo usano come sistema per ottenere e mantenere il potere: posti di lavoro ed altri benefici sono merce di scambio, per voti, denaro, o altre forme di sottomissione. Per convenienza o per paura, due facce della stessa medaglia, in tanti, troppi, si sono abituati a non fare l’onda.

Čika Murat

Trenta euro mensili di pensione. A fronte di migliaia e migliaia per le grasse paghe di parlamentari e ministri dei quattordici governi della Bosnia Erzegovina, piu’ quelle di direttori di aziende pubbliche e di migliaia di apparatchiki. 550.000 disoccupati su meno di quattro milioni di anime.

E la situazione di anno in anno si e’ avvitata sempre di piu’, con la disoccupazione che passava la soglia astronomica dei 550.000 a spasso su neanche quattro milioni di anime. Retribuzioni minime, per troppi fra i troppo pochi che lavorano, di 200, 300 euro, pensioni minime da 150. In un paese nel quale comunque e’ impossibile vivere con meno di 500 euro al mese. Senza le rimesse della massiccia emigrazione all’estero (la “diaspora” come la chiamano qui), questo popolo non sarebbe neanche riuscito a sopravvivere cosi’ a lungo. Ora non basta piu’ neanche quello.

La rabbia di Tuzla, che e’ stata la prima perche’ con il suo passato recente di grosso centro industriale ha ancora uno straccio di organizzazione sindacale, ha fatto sentire una voce che in Bosnia non si era mai sentita prima: l’urlo dalla strada, arrochito e selvaggio, da centinaia, migliaia di lavoratori e disoccupati, studenti e pensionati, ma anche casalinghe, madri di famiglia, tranquille signore di mezza eta’ trasformate in pasionarie. Nessuno si e’ stupito, lo stupore da almeno cinque anni serpeggiava sul fatto che un’esplosione del genere continuasse a non verificarsi, nonostante le ingiustizie e le umiliazioni sempre piu’ pesanti sopportate dalla gente. Una specie di folie a deux, fra i “potenti” sempre piu’ arroganti e sfacciati, quasi eccitati dalla passivita’ sempre piu’ assurda delle masse, sempre piu’ impegnati ad arraffare, aumentarsi stipendi ed emolumenti aggiuntivi, gestire affari sporchi, gozzovigliare allegramente fra auto di lusso e accumulo di patrimoni immobiliari di fronte agli occhi di masse sempre piu’ immiserite, e il motto desolante di queste, “šuti i trpi”, taci e subisci.

Per questo il premier del governo cantonale di Tuzla quel fatale mercoledi’ 5 febbraio non si e’ degnato di incontrare lavoratori e manifestanti, sindacati e disoccupati, che venivano a chiedere per l’ennesima volta soluzioni per migliaia di dipendenti delle aziende statali un tempo floride, i grandi kombinat della Tuzla industriale distrutti da inettitudine e disonesta’ dei politici post jugoslavi. La sua arroganza e’ stata l’ultima goccia, ovvero la scintilla.

La rabbia di Tuzla si e’ trasmessa per osmosi da una citta’ all’altra, ha toccato finalmente quello strato di emozioni represse che la gente si teneva dentro da troppo tempo. E’ stata come un’onda, una scossa di terremoto che ha attraversato il paese. Un punto di non ritorno. Zenica, Bihać, Mostar, Sarajevo e poi una sfilza di centri piu’ piccoli. Gente in strada, sassate contro i palazzi dei governi, poi addirittura molotov, fiamme che si levano dalla presidenza dello stato a Sarajevo, come dal governo cantonale di Tuzla, auto bruciate nel parcheggio di quello di Bihać. Scene mai viste prima, nel dopoguerra.

Ben altra cosa dalla protesta di qualche mese fa per lo JMBG, il codice fiscale negato: in piazza allora era scesa una minoranza abbastanza risicata di manifestanti indignati perche’ i conflitti politico-pseudo-etnici fra le due meta’ della Bosnia avevam finito per privare i neonati di codice fiscale e documenti. Due piccoline di pochi mesi, malate gravi che necessitavano di cure all’estero, pagarono con la vita il ritardo nell’ottenimento del passaporto. Era stato uno scossone, comunque, perche’ il blocco del parlamento a Sarajevo da parte dei manifestanti aveva rilevato la vigliaccheria dei potenti, col capo del governo che scappava dalla porta di servizio protetto da muscolose guardie del corpo. Ma il nerbo della protesta era forse un po’ troppo middle class e intellettuale per toccare la “pancia” del paese. A Tuzla invece sono stati operai, disoccupati, tifosi e giovanissimi a invadere le strade. E a Tuzla, come nelle altre citta’, non si e’ vista presenza delle onnipresenti “organizzazioni non governative”, l’armata di oltre 12.000 associazioni e non profit vari spuntati come funghi in questi anni per cogliere l’opportunita’ dei finanziamenti esteri. Questa cosiddetta “societa’ civile” si trova probabilmente in forte imbarazzo all’idea di sporcarsi le mani con una protesta che violenta e’ stata, in questi giorni, anche se molto meno di quanto avrebbe potuto essere. Ma tutti sanno benissimo che senza passare questa linea, la prepotente classe politica non si sarebbe minimamente scossa. A Bihać le teste piu’ calde fra i manifestanti venerdi’ scorso hanno sfasciato a sassate tutte le vetrine dell’hotel di lusso della famiglia del premier cantonale, sabato sono andati a cercarlo a casa invadendo la via e lanciando pietre, ma nella sessione straordinaria del parlamento tenutasi domenica notte lui ancora non se ne voleva andare: comparso a mezzanotte ben deciso a non dare le dimissioni, ci ha messo fino all’una meno dieci per mollare. La registrazione del rabbioso “vaffa’… “ indirizzato dal premier del cantone di Sarajevo alla giornalista che gli aveva chiesto se si sarebbe dimesso ha fatto il giro della Bosnia. Ma alla fine ha dovuto dimettersi anche lui.

L’idea delle elezioni anticipate e’ un tentativo di contenimento, l’extrema ratio della casta per salvare se stessa. Tanto che nelle ultime ore inaspettatamente si e’ dichiarato a favore anche il gran boss della Republika Srpska, il presidente Milorad Dodik, il grande avversario della Bosnia unita. In questa settimana di fuoco, la RS e’ rimasta tutto sommato tranquilla, con pochi tentativi sporadici di proteste con pochissimi partecipanti. Dodik e la premier Željka Cvijanović si sono sprecati in dichiarazioni sulla Republika Srpska come “democrazia stabile”, in linea con una propaganda che per anni ha cercato di convincere gli abitanti, in gran maggioranza serbi, che la RS e’ un paradiso di benessere rispetto alla caotica Federazione BiH. Cosi’ in questi giorni si sono autocongratulati del fatto che la confusione della Federazione non abbia contagiato l’ordinata e tranquilla RS.

La verita’ e’ ben diversa: la Republika Srpska affonda nella miseria e nella corruzione non meno della Federazione, ma Dodik e tutta la classe dirigente fin qui son riusciti a distrarre la gente con la retorica nazionalistica. Sanno bene invece quanto sia pericoloso per loro un possibile risveglio delle masse, ispirato dai fatti di Tuzla: per questo da giorni e’ in corso un’isterica campagna stampa che cerca di presentare la ribellione in Federazione come una questione etnica, tentando perfino di suggerire che potrebbe rivolgersi contro la RS.

Le poltrone di tutti i potenti in realta’ erano da tempo traballanti, per via delle feroci lotte intestine fra partiti. Sono passati quasi quattro anni dalle ultime elezioni generali, che erano state seguite da ben quattordici mesi senza la formazione di un governo nazionale proprio a causa delle riffe fra partiti. La soluzione faticosamente raggiunta non era durata molto, perche’ ulteriori intrighi avevan fatto saltare tutti i tavoli e rimescolate di nuovo le carte.

Questi giochi di potere, esclusivamente e sfacciatemente volti alla spartizione di aziende pubbliche e sfere di influenza, avvenivano sotto gli occhi della massa sempre piu’ impotente ed esclusa. Mentre l’economia affondava sempre di piu’ e la Bosnia iniziava a perdere finanziamenti dei fondi europei per l’agricoltura e lo sviluppo della piccola e media impresa.

Per questo ora i movimenti di cittadini pretendono nuovi governi costituiti da persone che con i partiti non abbiano nulla a che fare. Persone competenti che si occupino delle rivendicazioni della gente normale.

Quante speranze ci sono che questi primi esperimenti di democrazia diretta non vengano soffocati sul nascere? Le lobby di potere che ruotano intorno ai partiti hanno messo radici ben profonde in questa societa’ disperata, nella quale la stragrande maggioranza della gente ha paura, paura di perdere il poco che ha, ed e’ abituata alla logica di cercare un protettore fra i “potenti”, o quanto meno di non rischiare di mettersi in rotta con nessuno.

Se riuscira’ la manovra di assorbire la forza di impatto della ribellione imbrigliandola nelle elezioni anticipate, sara’ una corsa contro il tempo per questi movimenti spontanei per cercare di esprimere liste di candidati. Che poi dovrebbero lottare contro le macchine ben oliate di partiti che hanno mezzi finanziari e pacchetti di voti dai loro serbatoi elettorali tradizionali. Per ora non c’e’ stata reazione dalla strada su questa manovra del potere consolidato. Resta da vedere cosa accadra’ nei prossimi giorni.

 

 

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