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Slika6517L’una e ventitre’, vola la prima pietra contro le finestre. Scroscio di vetri. La folla applaude. La polizia non fa una piega. Un’altra pietra, un’altra e un’altra. Ai migliori centri, quando la lastra si sbriciola per bene con tutti gli effetti sonori di corredo, l’applauso cresce di tono. Venerdi’ 7 febbraio 2014, il giorno due a Bihać, giorno tre da quando e’ iniziata la rivolta, a Tuzla. Ieri a Bihać contro la sede del governo del Cantone Una Sana eran volate solo palle di neve e uova. Un assembramento spontaneo, senza capi ne’ richieste precise, un bubbone di rivolta dopo quasi vent’anni di umiliazioni, la rabbia contro la classe dominante inetta e ingorda ma soprattutto insopportabilmente arrogante. A Tuzla e’ saltato il tappo, una cosa attesa ormai da anni. Nessuno stupore che sia accaduto, lo stupore lo vivevamo ormai da anni perche’ NON accadeva, nonostante le ingiustizie sempre piu’ assurde che questo popolo subisce da anni.

La fine del “šuti i trpi” – “taci e sopporta”, il motto della Bosnia del dopoguerra.

Il ruggito della strada a Tuzla ha segnato la fine di un’epoca.

Venerdi’, Bihać, ieri. Pietre, finestre infrante, applausi. Ogni sassata, ogni tintinnio di vetri, nella psiche massacrata della gente rappresenta un pugno in faccia a coloro che normalmente siedono in quegli uffici (ora son vuoti, sono scappati tutti prima), i privilegiati, quelli che hanno una paga sicura, in un territorio dove appena il quindici per cento della popolazione ha un posto di lavoro. E di questi molti sono a mantenere famglie con paghe da due, trecento euro, con un costo della vita non molto inferiore rispetto a quello occidentale. Soprattutto sul cibo. Anche Elle accanto a me applaude. E questo mi da’ la misura di quanto profonda sia la cosa… Una giovane professoressa e attivista, una delle personi piu’ colte e civili che ci siano, ma quei vetri che cadono in strada sono un canto di liberazione anche per lei. “Mi sembra di lottare contro muri di gomma…” spiegava quest’estate ad amici italiani che avevamo in visita.

“Spiegaci, per favore, noi non abbiamo capito niente…” Dal 2001 una quantita’ di turisti non per caso mi hanno inondata di domande appena sbarcati qua. E io continuo il mio lavoro di vent’anni fa – in un altro modo. Ora mi ci rimettero’ come facevo all’epoca: lo so, che non ci capite niente, di Bosnia. C’e’ una discreta possibilita’ che continuiate a non capirci niente dai soliti articoli di colore.

Per capirci qualcosa ci devi vivere. Ma da comune mortale, non privilegiato. Mi viene sempre in mente Sigfrido: se vuoi capire il canto degli uccelli, devi prima assaggiare il sangue del grado. Io l’ho fatto.

 

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